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Puntini di sospensione: uso e abuso
Spesso l’autore alle prime armi pensa di rendere la carica emotiva o l’enfasi di un certo momento spezzando le frasi con i puntini di sospensione. E a volte pensa anche che più ne mette, di puntini, e maggiore sarà l’effetto desiderato.
La presenza di sfilze di puntini in un manoscritto è uno dei segnali più palesi che denotano l’immaturità di una scrittura.
I puntini di reticenza o sospensione, che sono sempre tre, anche quando si trovano alla fine di un periodo, si usano solo per la sospensione e con misura, altrimenti il loro effetto si perde. Un uso smisurato di questo tipo di punteggiatura, indica una mancanza di chiarezza di quello che si vuol dire, è segno di incertezza e approssimazione. Se possono restare nei dialoghi, anche se con la dovuta moderazione, nelle descrizioni, nelle scene d’azione, i puntini di sospensione devono assolutamente scomparire. Come devono scomparire a metà di una frase, tipo “ti vedo… stanco!”.
Solitamente, se posti all’inizio di una frase si staccano dalla parola che precedono («… Se lo dici tu»), mentre alla fine vanno attaccati all’ultima parola («Forse potrei…»): se dopo i tre puntini inizia un nuovo periodo, si usa la lettera maiuscola, altrimenti no. Infine, non precedono mai il punto esclamativo, quello interrogativo o la virgola ma, semmai, li seguono.
A voler essere pignoli poi, graficamente i tre puntini sono un carattere a sé stante, non tre semplici punti di seguito: quindi non sarà questo “...” , ma questo “…”.
Il consiglio, in questo caso, è che se quello che volete ottenere è un testo pieno di incertezze, dubbi, pause, pensieri, paure, interruzioni e esitazioni e titubanze, è preferibile farlo magari attraverso la descrizione di quei dubbi, paure, pause ed esitazioni.
Lo stesso dicasi per i punti esclamativi e interrogativi: troppi danno alla narrazione un tono gridato, strillato, quasi in falsetto. Anche qui non è che il loro numero debba essere direttamente proporzionale ai decibel con cui un personaggio esclama qualcosa. Di punti esclamativi e interrogativi, basta metterne uno e quindi sfilze del tipo “!!!” o, tanto meno “?!?!”, non rappresentano un uso corretto della punteggiatura.
Ecco un esempio, ispirato al dialogo finale tra Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy, sull’errato uso dei puntini di sospensione:
«Non riuscivo a dormire…»
«Neanch’io…»
«Lizzi…. vedete….»
«Sì?.... Mr Darcy???...»
«Mia zia…»
«Sì… è stata qui...»
«...Oh! Come potrò???!!.......Come mai potrò fare ammenda per un tale comportamento!!!!!.....»
«…Dopo quello che avete fatto per Lydia e…. sospetto…. anche per Jane…. sono io a dover fare ammenda!!!...».
Ed ecco la versione corretta:
«Non riuscivo a dormire.»
«Neanche io. Mia zia...»
«Sì, è stata qui.»
«Come potrò mai fare ammenda per un tale comportamento?»
«Dopo quello che avete fatto per Lydia e, sospetto, anche per Jane, sono io a dover fare ammenda.»
Detto questo, leggete qui: “Ci siamo conosciuti due anni fa... e da allora ci siamo sempre veduti... egli non è come te... è... soprattutto buono.”
Se un qualsiasi esordiente sottoponesse a un editor un manoscritto con tale “abuso” di puntini, gli verrebbe certamente consigliato di migliorare il suo stile e la sua opera, con molta probabilità, non sarebbe candidata per la pubblicazione.
Ma quella che ho riportato non è una frase di un esordiente, ma di Alberto Moravia. Lo scrittore romano era solito usare molti puntini di sospensione, soprattutto nei dialoghi, anche laddove non ve ne era la necessità e dove avrebbero potuto essere facilmente sostituiti con altri segni di interpunzione oppure strutturando in maniera differente la frase.
Ma alla fine, allora, è proprio vero che l’uso frequente dei puntini di sospensione è sempre e comunque da demonizzare? Non potrebbe essere, anche questo, un aspetto da ascrivere alle libere scelte stilistiche di uno scrittore?