Il vocativo

Tutte le volte in cui invochiamo il nome di una persona usiamo un vocativo. Dal latino, è uno dei casi della declinazione dei nomi ed esprime il richiamo, la chiamata, l’invocazione, appunto. Di fatto, il vocativo (o complemento di vocazione) si usa nel discorso diretto e indica la persona, l’animale o la cosa personificata a cui questo si rivolge. Come funziona?
“Ehi, Alice!”: in questo caso “Alice” è il vocativo perché io invoco il suo nome, lo chiamo.
Oppure: “Sei così bella, tesoro”: mi rivolgo a lei dicendo “tesoro”, quindi è vocativo.
Invece, se dico semplicemente: “Alice segue il Bianconiglio…”, è evidente che non sto “invocando” nessuno, quindi in questo caso la virgola non è necessaria.
Come si vede già da questi esempi, il vocativo deve essere sempre separato dal resto della frase. Se è la prima parola deve essere seguito dalla virgola, mentre se è al centro della proposizione, deve essere compreso tra due virgole.
Per riconoscere un vocativo all’interno di un periodo, un trucco potrebbe essere quello di anteporre al nome la particella “o”: “o Alice, per favore, potresti venire qui?”. Ovviamente la frase risulta assurda, perché la vocale “o” le conferisce un accento “solenne” che oggi certamente non utilizziamo, ma è coerente con il senso di “invocazione”, e quindi ci dà la conferma che quello è un vocativo. Se invece facciamo precedere la “o” alla frase “o Beth ha la scarlattina”, notiamo che questa perde completamente il senso.

Ecco qualche esempio:
"Fermati, Jacob!"
"Edward, dimmi la verità!?"
"Quello che devi sapere, Bella, è che io sono un vampiro."