Dubbi grammaticali e linguistici: le vostre domande, le nostre risposte
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Le vostre domande
Dubbi su "che" e "dagli/dalle/ecc."
Salve,
ho un dubbio ed una richiesta di regola più che un dubbio.
1) Come si distingue il "che" come introduzione al congiuntivo ed il "che" come semplice congiunzione?
2) Come posso spiegare ad una persona ignorante che dire "DAGLI/FAGLI/DIGLI etc." ad una donna è sbagliato e bisogna invece dire "DALLE/FALLE/DILLE etc."?
Ringrazio anticipatamente :)
di Eleonora
01/03/2011
Gentile Eleonora,
il "che", benché sia impiegato nell'introduzione di proposizioni di diverso tipo tanto quanto nell'introduzione di termini di paragone, svolge pur sempre il ruolo di congiunzione, pertanto, per capire dove occorra in combinazione col congiuntivo, basterà analizzare il tipo di subordinata che si presenta: spesso si tratterà di una con valore concessivo, ma per facilitarle la comprensione di quanto indicato la invito alla lettura del paragrafo dedicato al congiuntivo, nel nostro portale.
Per quanto riguarda invece l'altra domanda, dovrà ricordare al suo interlocutore che si tratta della regola della concordanza: ad esempio, dagli e dalle, come gli altri da lei citati, esprimono già il "genere" della concordanza: "dagli" è composto da "gli" che è maschile, mentre "dalle" da "le" che è femminile, perciò, se nell'enunciazione intendiamo rivolgerci a un nome al maschile useremo la forma corrispondente appena citata (dagli); stesso ragionamento per quanto riguarda la forma al femminile (dalle).
Saluti,
Roberta.
Possessivo + articolo e nomi di parentela.
È corretto dire "il mio nonno materno" o "mio nonno materno"? Esiste una spiegazione?
di Alberto
01/03/2011
Gentile Alberto,
la regola che dobbiamo seguire è la seguente:
davanti a nomi di parentela al singolare l'articolo si omette, quindi: mio nonno, mia nonna, tuo zio, ecc.
Fanno eccezione i nomi al singolare "mamma" e "papà/babbo": la mia mamma, il mio papà/babbo.
Nelle forme al plurale l'articolo va mantenuto, quindi avremo: i miei nonni, i nostri zii, ecc.
Per approfondire meglio l'argomento la rimando alla lettura del paragrafo relativo all'articolo, sul nostro portale.
Saluti,
Roberta.
Coesione Grammaticale
Spesso quando scrivo un testo, sbaglio l'uso dei tempi verbali: passo dal presente al passato remoto. Vorrei sapere come evitare tali errori e qual è la regola da rispettare.
Grazie
Cordiali saluti.
di Matteo
01/03/2011
Gentile Matteo,
la questione della concordanza dei tempi verbali, in italiano, subisce molto (negativamente) l'effetto prodotto dalla lingua parlata, quando questa interviene in maniera "distruttiva", ovvero quando storpiature e modi di dire finiscono per sostituire il linguaggio corretto della forma scritta della nostra lingua. Pertanto, è estremamente facile acquisire una certa padronanza di quella che in latino è chiamata "consecutio temporum" tanto quanto lo è spezzare questa logica, troppo spesso vista come un'inutile rigidità prescrivente l'uso dei tempi verbali.
La concordanza dei tempi prevede la rispondenza tra i concetti di anteriorità, posteriorità e contemporaneità, cioè chi scrive interviene in modo tale da definirli nel rispetto delle forme linguistiche che l'enunciato presenta.
Non posso che farle un breve esempio di quanto detto, poiché le variabili di una "situazione tipo" possono essere infinite, ragion per cui cercherò di mostrarle uno tra i casi di concordanza verbale più frequenti.
Vediamo come la stessa frase può ottemperare a ragioni di temporalità differenti, soltanto cambiando al suo interno la forma verbale che ne definisce il rapporto in termini di "tempo relativo all'azione" nonché di reggenza e subordinazione:
Mario credeva (reggente/principale - tempo al passato)
(subordinata - tempo al congiuntivo imperfetto)
(subordinata - tempo al congiuntivo trapassato)
(subordinata - tempo al condizionale passato)
Con l'uso dei tre diversi tempi verbali otteniamo i tre diversi gradi di temporalità dell'azione, in quanto: per rispettare il contesto al passato definito dalla parte principale della frase (Mario credeva), intervengono:
- il congiuntivo imperfetto per determinare il rapporto temporale di contemporaneità (Mario credeva che andassi a Venezia ora - inteso come arco di tempo presente, contemporaneo);
- il congiuntivo trapassato per definire un rapporto di anteriorità (Mario credeva che fossi già partita per Venezia - in un momento precedente rispetto al momento in cui avviene l'enunciazione);
- il condizionale passato per dare l'alternativa di posteriorità al concetto espresso nella subordinata, rispetto all'azione esposta nella reggente (Mario credeva che sarei andata a Venezia prima o poi - in un secondo momento, in futuro, prendendo a campione un arco di tempo non ancora definito, non ancora contemporaneo, e certamente non passato.
Per rispettare dunque la concordanza tra le diverse forme verbali presenti in una frase composta da parte principale e parte subordinata, occorre, come visto, analizzare in primo luogo il tempo che definisce l'azione espressa nella reggente; a questo conseguirà l'associazione del tempo verbale che aderisca perfettamente alla relazione temporale che si intende palesare.
Diversa è l'accezione di "coesione grammaticale", invece: se per la concordanza dei tempi si prende a campione una singola frase, per il concetto di coesione faremo riferimento all'intero periodo ospitante più frasi, e dunque più proposizioni principali. In tal caso, dovremo far attenzione alla "coesione", appunto, ovvero alla "concordanza" dei rapporti espressi con le diverse forme verbali all'interno di ognuna delle reggenti, perché non cozzino tra loro in termini di relazione temporale; una questione più sintattica e grammaticale, quindi, rispetto all'altra.
Proprio/propri
È corretto scrivere "nei propri confronti" riferendosi a persona diversa dal soggetto scrivente?
di Silvana
22/02/2011
Gentile Silvana,
l'uso di proprio/propri è giustificato qualora all'interno dello stesso periodo in cui si intenda utilizzarlo sia presente il soggetto al quale si riferisce, che è, proprio per applicazione della norma, differente dall'altro soggetto facente parte dell'enunciato.
Si usa “proprio”, infatti, per evidenziare un rapporto di appartenenza nei confronti di un soggetto diverso da quello impiegato nella comunicazione.
Con l'uso di “proprio” è possibile indicare un grado di appartenenza rispetto a un elemento, in questo caso un soggetto, esterno anche alla comunicazione. Facciamo un esempio con il costrutto da lei proposto:
Luca e Andrea sono usciti senza dire nulla ad Anna, che uscì subito dopo sbattendo la porta di casa, infuriata per la mancanza di rispetto nei propri confronti dimostrata dai due.
Luca e Andrea fanno parte della comunicazione, ovvero, sono i protagonisti dell'enunciato, quelli che compiono l'azione di uscire, insieme ad Anna, che però viene inquadrata in un momento immediatamente successivo, e che appare estranea alla comunicazione principale, occupando pertanto un ruolo subordinato rispetto ai due. Se avessimo usato “suoi” al posto di “propri”, avremmo fatto confusione e non avremmo inquadrato il soggetto al quale si faceva riferimento, in quanto dicendo “nei suoi confronti” non era possibile percepire chiaramente a quale persona ci si stesse riferendo.
Un utilizzo improprio di “suo” e “proprio” è una prassi comune e frequente nella lingua corrente. Nella lingua parlata, situazioni del genere possono essere risolte con maggiore facilità, con l'ausilio di gesti volti a indicare la persona cui si fa riferimento, omettendo in quel caso la regola vigente.
Saluti,
Roberta.
Concordanza plurale
Si dice:
mi è dispiaciuto non avervi più trovati o non avervi più trovato?
di Mister Hyde
22/02/2011
Gentile Mister Hyde,
le forme possono essere entrambe utilizzate in quanto è prevista una corretta corrispondenza di flessione di genere e numero tra sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi. Nella frase proposta, il soggetto al quale si fa riferimento è certamente plurale, precisamente si fa accenno alla seconda persona plurale della coniugazione (voi), pertanto è possibile volgere il verbo “trovare” al plurale come è lecito lasciarlo al singolare.
Saluti,
Roberta.
Probabilmente
Non so che cos'è “probabilmente” nell'analisi logica.
di Manuel
22/02/2011
Gentile Manuel,
in analisi logica il termine “probabilmente” costituisce un complemento indiretto, per la precisione un complemento avverbiale opinativo, esattamente “di dubbio” in quanto esprime un'opinione.
Saluti,
Roberta.
“Ed” a capo – D eufonica
In caso di scrittura "e (o ed) entrando" ove si vada a capo dopo "e", si mantiene o si perde la "d"?
Grazie,
Carla.
di Carla Giulia
22/02/2011
Gentile Carla,
non vi è norma specifica per il quesito che pone: può scegliere personalmente se omettere la d andando a capo oppure se mantenerla.
La invito, proprio a tale riguardo, a prendere nota dell'articolo dedicato all'uso della d eufonica.
Saluti,
Roberta.
Dell'Italia?
1) Si dice: "Sono dell'Italia"?
Oppure è grammaticalmente obbligatorio scrivere:
- Sono italiano.
- Vivo in Italia.
2) E' corretto scrivere in una e-mail ad un amico russo: Vengo dall'Italia?
Grazie amici!
di Capriolo
21/02/2011
Gentile Capriolo,
dire “sono dell'Italia” vuole significare “faccio parte di/vengo da” utilizzando un'espressione che indica l'appartenenza ad una determinata cosa, pertanto non è grammaticalmente scorretto. È comunque più frequentemente utilizzata l'espressione “sono italiano”.
In un contesto di corrispondenza sarebbe più opportuno dire “scrivo dall'Italia” poiché l'uso del verbo “venire” implicherebbe una presenza fisica e uno spostamento di moto da luogo, eventi che in quel caso non si verificano.
Saluti,
Roberta.
Posizione titoli
Buongiorno, nelle lettere l'intestazione come deve essere quando presente anche un titolo:
Egr. sig. Mario Cav. Rossi oppure: Egr.sig. Cav. Mario Rossi e la regola vale anche per il dott. Ing. Prof... ecc? Grazie.
di Veronica
18/02/2011
Gentile Veronica,
pur se frequentemente utilizzata, la prima forma, ovvero quella che vede l'apposizione “Cav.” dopo il nome proprio di persona, è quella che andrebbe soppressa in favore della seconda: Egr. Sig. Cav. Mario Rossi.
La regola non scritta di inserire il titolo tra nome e cognome rappresentava norma comune nelle pratiche di corrispondenza di diversi anni fa, quando non era ipotizzabile fare diversamente. Oggi, invece, è preferibile adottare come nuova abitudine la formula inversa.
È bene ricordare che, salvo in casi eccezionali dove sia esplicitamente richiesto (come per l'Esercito, ad esempio), il nome proprio di persona va sempre anteposto al cognome, e mai il contrario. Vale nella corrispondenza quanto in firma.
Saluti,
Roberta.
Articolo partitivo
Mi servono delle frasi che abbiano all'interno l'articolo partitivo e si trasformino in preposizioni articolate.
di Edoardo
17/02/2011
Gentile Edoardo,
l'articolo partitivo in realtà non si trasforma in preposizione articolata, tuttavia, il procedimento con cui si forma è senza dubbio analogo:
per formare un partitivo abbiamo bisogno di accostare la preposizione di alle diverse forme dell'articolo determinativo, a seconda delle necessità, per dar luogo a una forma grammaticale detta indefinita che serve ad esprimere quantità imprecisate. Pertanto avremo frasi di questo tipo:
- ho acquistato del pane (vale a dire “ho acquistato un po' di pane”);
- ti consiglio di prendere delle lezioni di matematica (il concetto è identico: non viene specificata alcuna quantità);
- posso avere delle mele?
Al singolare (es: prendi dell'acqua)ogni elemento della frase introdotto dal partitivo è considerato non numerabile, mentre viene identificato come numerabile al plurale, es: ho letto dei libri.
Saluti,
Roberta.
Forma esatta
Qual è la forma corretta: "inerenti il caso" o "inerenti al caso" ?
Di Teri
17/02/2011
Gentile Teri,
sono lieta di rispondere a questa domanda, in quanto è ormai d'uso comune fare riferimento al verbo “inerire” considerandolo come un'introduzione del complemento oggetto, mentre in realtà ciò che introduce è un complemento di termine.
Esso risponde infatti alle domande “chi?” e “che cosa?” e, partendo dal presupposto che “inerire” (voce verbale raramente usata nel linguaggio corrente se non nella sua forma al participio presente, “inerente”) significa “avere stretto legame con qualcosa”, possiamo comprendere perché sia corretto dire “inerente a qualcosa” e non “inerente qualcosa”.
Perciò la forma corretta sarà: “inerente al caso” e non “inerente il caso”.
Saluti,
Roberta.
Dubbio plurale
Ho sempre usato al singolare l'osso e al plurale le ossa. Gli ossi è giusto o è consentito?
di Giandomenico Cugusi
15/02/2011
Gentile Giandomenico,
le terminazioni del plurale, sia al maschile che al femminile sono entrambe corrette; si differenziano per indicare, sostanzialmente, una sottile diversità di significato: si definiscono “gli ossi”, infatti, i vari ossi separati; non definiscono quindi un concetto “di insieme”, come invece fa l'espressione al femminile “le ossa”, corrispondente all'insieme dell'ossatura, e quindi concepita in una diversa accezione.
Saluti,
Roberta.
Corretta pronuncia
Si dice peròro o pèroro?
di Rina Lazzaro
10/02/2011
Gentile Rina,
la corretta pronuncia è “pèroro”, che può essere però sostituita da “peròro”, allo stesso modo, per via dell'origine latina del termine: perorāre da orare, che significa pregare, a cui si antepone il suffisso per che costituisce l'intensivo con cui l'azione è compiuta.
Saluti,
Roberta.
Spesse volte
È corretto o scorretto dire "spesse volte" mi accade? E perché?
di Andrea
10/02/2011
Gentile Andrea,
essendo “spesso” un avverbio, oltre che un aggettivo, e concordando in numero con il termine che lo segue, l'espressione “spesse volte” è corretta, anche se certamente poco comune e ancor meno orecchiabile.
Saluti,
Roberta.
Uso della doppia
Vorrei sapere perché abate ha una b e abbazia ne può avere due.
di Italo Capitanio
10/02/2011
Gentile Italo,
in verità non è “abbazia” che fa eccezione, bensì “abate”, poiché il termine originario fu concepito con la b doppia, quella che oggi può divenire singola a seguito di una storpiatura fondamentalmente legata a una concezione fonetica e sintattica del termine originario, che negli anni ha riconosciuto, giustappunto, questa seconda sonorità.
Saluti,
Roberta.
Lemma "fino"
Dubbio sul lemma "fino a".
Se scrivo per esempio:
“Tizio farà le seguenti azioni blablabla fino alla numero 3”
Si intende che Tizio farà o non farà la 3?
Grazie
di Liza
26/01
Gentile Liza,
quando diciamo “fino a” intendiamo il conseguimento di una determinata cosa, quella che poi esplichiamo immediatamente dopo, pertanto ogni azione nominata nell'enunciazione (es: fino alla numero 3) si intenderà compresa.
È buon uso, comunque, specificare, aggiungendo i termini “compreso/a” o “escluso/a” per favorire l'immediata interpretazione del messaggio.
Saluti,
Roberta.
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Indicativo o congiuntivo?
Buongiorno. Volevo sapere quale delle due forme è corretta.
1) Non so come si strutturano i brani;
2) Non so come si strutturino i brani.
Grazie in anticipo.
di Alessio
20/01/2011
Gentile Alessio,
i tempi congiuntivo e indicativo, nell'esempio da lei riportato, possono essere usati indistintamente. Usando il congiuntivo accade che la concezione di “dubbio” sia maggiormente posta in rilievo, dal punto di vista di chi enuncia e altresì da quello di chi riceve il messaggio.
Saluti,
Roberta.
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Uso del verbo
E' più corretto "mi avrebbe chiamata" o "mi avesse chiamata"?
Ringrazio per l'attenzione
di Sonia Carbonchi
26/01/2011
Gentile Sonia,
il suo dubbio può essere chiarito soltanto facendo riferimento all'intera frase in cui l'espressione in questione si colloca:
ad esempio, è corretto usare il condizionale passato (“mi avrebbe chiamata”) come conseguenza al presupposto indicato, ovvero nel caso in cui si verifichi una determinata condizione espressa all'interno dell'enunciato:
es: Se fosse rientrato entro sera, mi avrebbe chiamata.
Se fosse rientrato entro sera è la condizione.
Per l'appunto, la seconda ipotesi (“mi avesse chiamata”), rappresenta la condizione espressa dove occorra evidenziare un concetto non certo, non sicuro, o anche un invito/esortazione/desiderio, soprattutto nelle frasi subordinate.
es: Se mi avesse chiamata, l'avrei raggiunto.
L'utilizzo dell'una o dell'altra forma, quindi, è da definirsi in base all'esigenza.
Saluti,
Roberta.
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Dubbio plurale
Avrei un dubbio. Si dice: i 600 milioni di persone o le 600 milioni di persone?
di Anna
22/01/2011
Gentile Anna,
concordando di norma in genere e numero con il nome che lo segue, l'articolo, nel caso d'esempio, si volge al maschile e al plurale poiché precede “milioni” che è un nome maschile, plurale.
Saluti,
Roberta.
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Radice e desinenza
Quali sono radice e desinenza di Fui punito?
di Homy
27/01/2011
Gentile Homy,
per distinguere radice e desinenza di una forma verbale occorre partire dai verbi all'infinito: in questo caso partiamo dall'infinito di “fui” che è “essere” e dall'infinito di “punito” che è “punire”.
Del verbo essere, “esse” è la radice, mentre “-re” la desinenza.
Per il verbo punire, “pun” è la radice, in quanto rispecchia la forma primitiva e invariabile comune a tutte le coniugazioni possibili per questa voce verbale; “-ire” è la desinenza.
Saluti,
Roberta.
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Dubbio concordanza
Maria indossava il vestito regalatole dalla nonna.
L'allieva ha eseguito i vari compiti assegnatele? Trattasi di concordanza. Desidero conoscere la regola. Grazie
di Antonio
28/01/2011
Gentile Antonio,
la regola vigente per gli esempi da lei indicati si definisce “concordanza pronominale”, ovvero un accordo morfologico dato da una coesione delle varie parti del discorso dal punto di vista lessicale, dove il genere dei morfemi che le costituiscono concorda (il maschile concorda con il maschile e il femminile concorda con il femminile).
In un rapporto di concordanza il pronome può avere funzione anaforica o deittica, può comportarsi come il nome, ad esempio, o sostituirsi ad esso.
Può approfondire l'argomento alla sezione Morfologia del nostro portale.
Saluti,
Roberta.
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Dubbi grammaticali
Si può scrivere "gli abitanti dell'Italia" o si deve scrivere "gli abitanti d'Italia" ?
di Sergio
07/02/2011
Gentile Sergio,
può usare entrambe le forme: qualora il termine da accordare fosse semplicemente un nome, in questo caso “Italia”, potrà farlo precedere dalla preposizione semplice “di” (d'Italia); nel caso invece fosse un nome preceduto da un articolo, “l'Italia”, la preposizione che andrà accostata diverrà articolata, pertanto darà luogo all'espressione (sempre secondo il suo esempio) “dell'Italia”.
Saluti,
Roberta.
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All'incontrario
Ragguagli in merito all'espressione “all'incontrario”.
di Marta
26/01/2011
Gentile Marta,
questa espressione può considerarsi corretta solo da un punto di vista del linguaggio informale e prettamente gergale. Un uso di questa in un contesto scritto è definibile di dubbio gusto.
Saluti,
Roberta.
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Dr. e Dott.
Vorrei sapere che differenza c'è tra: Dr. e Dott. (e al femminile dr.ssa e dott.ssa). La domanda è: si possono usano indiscriminatamente oppure no?
Di Laura
26/01/2011
Gentile Laura,
l'unica differenza esistente tra le due sigle sta nel fatto che si tratta di due diversi tipi di abbreviatura, posta in atto “per sequenza consonantica”, nel caso di “dr.”, “per compendio” nel caso di “dott.” e “per contrazione” nel caso di “dott.ssa”.
“Dr.” e “dott.” possono essere usati indistintamente, mentre non è in uso l'abbreviazione “dr.essa” per il femminile. Sono valide quindi “dott.essa” o “dott.sa”.
Saluti,
Roberta.
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Analisi dei nomi
“Tempo” è un nome concreto o astratto?
Di Rossana Pighi
26/01/2011
Gentile Rossana,
secondo l'analisi grammaticale dei nomi, “tempo” è nome di cosa, maschile, singolare, astratto. È astratto poiché non attribuibile alla classe di cose percepibili attraverso i sensi.
In alcuni casi, però, il tempo può essere considerato in maniera concreta pur esprimendo un valore astratto, ad esempio, nella frase “ho impiegato due ore” la concretezza sta nell'atto di misurare il tempo(il tempo di una corsa).
Saluti,
Roberta.
Casi di genere
Nel corso del mio lavoro, per inviare una conferma, ho sempre scritto "... ho ricevuto la sua iscrizione, grazie."
Ora, su un libro (di Proust !) trovo una forma che mi varrebbe per "... ho ricevuta la sua iscrizione, grazie."
Ma allora? Cosa fare?
Una curiosità che non m'hanno mai chiarito: mano, ginocchio diventano femminili al plurale. Come mai? Grazie
di Ezio
20/01/2011
Gentile Ezio,
entrambe le forme da lei portate ad esempio sono corrette, dal momento che, per quanto raramente utilizzata, la forma che vede la concordanza, nel genere e nel numero, del verbo con la parola che segue, rappresenta uno stile esistente e linguisticamente strutturato in maniera esatta; probabilmente non usuale ma più contemporaneo di quanto potrebbe sembrare.
Riguardo al plurale femminile del termine “mano” (mani), questo fa eccezione soltanto per il fatto che di norma le parole femminili terminanti al singolare in -o al singolare, al plurale rimangono invariate (la radio/le radio). Non è dunque inverosimile che “mano” diventi femminile al plurale, in quanto lo è già nella forma singolare (la mano).
Passiamo all'altro caso: il plurale di “ginocchio” è “ginocchi” quanto “ginocchia”.
Nella maggior parte dei casi, la determinazione del plurale doppio di un termine deriva dalla necessità di definirne due diversi significati, uno, cioè, per ogni diversa forma.
Nel caso del termine “ginocchio” il plurale doppio non ha alcuna valenza indicativa, relativamente al significato, quindi; unica particolarità rilevata nel tempo, è come il plurale al femminile “ginocchia” venga utilizzato per esprimere l'insieme specifico, come nel caso del termine “osso”: “ il femore e l'omero sono due ossi / le ossa del cranio”.
Saluti,
Roberta.
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Sulla o nella
Salve, ho un po' di problemi con l'uso delle proposizioni. Ad esempio: si dice "le luci sono alzate sulla stanza" o "le luci sono alzate nella stanza"?
di Marco
20/01/2010
Gentile Marco,
ciò a cui fa riferimento non è il corretto utilizzo di una proposizione bensì di una preposizione, per l'esattezza articolata, avuta dall'incontro della preposizione semplice, “su” nel caso di “sulla”, con l'articolo determinativo “la”.
Nel caso specifico non è corretto dire “le luci sono alzate sulla stanza”, in quanto, se ciò che si vuole indicare è che “le luci sono accese all'interno della stanza”, non possiamo utilizzare che la preposizione “nella”, proprio per indicare un qualcosa che sta all'interno di un'altra.
Saluti,
Roberta.
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Caos calmo
Caos calmo? È una figura retorica o altro? Come si chiama? Tipo acronimo!
di Gregorio
10/01/2011
Gentile Gregorio,
l'espressione “caos calmo” è certamente una figura retorica, precisamente quella definita Ossimoro, la quale definisce una particolare immagine evocata dall'accostamento di due parole aventi tra esse un rapporto sostanzialmente conflittuale.
La invito a consultare l'articolo della nostra rubrica in proposito.
Saluti,
Roberta.
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Uso delle maiuscole
In una lettera si scrive
Oggetto:Lettera maiuscola
Oggetto:lettera minuscola
di Giusi
10/01/2011
Gentile Giusi,
in una lettera formale, all'Oggetto seguono i due punti, uno spazio e la lettera maiuscola di inzio parola, poiché si precisa, con il periodo testuale che lo segue, il contenuto della corrispondenza, il quale determina un concetto separato e a sé stante.
Saluti,
Roberta.
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Scelte a gomito
Volevo sapere cosa vuol dire "scelta a gomito".
di Nunu Geladze
09/01/2011
Gentile Nunu,
fare una “scelta a gomito” sta a indicare l'atto di fare una scelta unitamente a qualcun altro, “fianco a fianco”, “l'uno accanto all'altro”.
È comunque un'espressione legata principalmente al senso figurato, al “modo di dire” all'interno del panorama della lingua italiana. Raro, trovarla in forma scritta.
Saluti,
Roberta.
Preposizioni
Sempre più spesso non solo parlando o su giornali , ma anche su libri, si tende ad utilizzare due preposizioni, una dopo l'altra, per esempio: portami un panino CON DELLA mortadella; ho visto tua figlia CON DEGLI amici. Ai miei tempi erano errori gravi,ma ora? Grazie
di Marinac28
16/01/2011
Gentile Marina,
è generalmente sconsigliato l'uso combinato di preposizioni e articoli partitivi (nei suoi esempi, le parole “della/degli” svolgono proprio funzione partitiva: un po' di mortadella/un po' di amici) a causa del suo apparire un espediente eccessivamente aulico, nell'uso contemporaneo.
In realtà, non vi è norma scritta che ne regoli l'impiego nella lingua corrente: è noto come “i puristi” della lingua italiana abbiano sempre considerato un “forestierismo” la combinazione di questi due elementi, nonostante sia stato dimostrato come l'applicazione del partitivo, così concepita, sia attestabile già alla letteratura di epoca medievale, e non imputabile, quindi, limitatamente alla matrice francese, come giudicato ed erroneamente diffuso.
L'omissione del partitivo, non implica comunque il ricorso ad alcun tipo di precauzione, nella formazione della frase: questa manterrà il medesimo valore, infatti, anche mantenendo la preposizione, unicamente.
Saluti,
Roberta.
Andare a capo con l'aggettivo dimostrativo
“Quell'insieme di fattori”, “quell'altrimenti noto”, “quell'acquisto”.
È cosi? E come si va a capo?
Quel/ insieme o quel/l'altrimenti?
di Fiora Bellini
14/01/2010
Gentile Fiora,
ciò che certamente non va fatto, che si tratti di troncamento di aggettivi dimostrativi o di semplici preposizioni articolate (dello, della, ecc. ) è andare a capo cassando l'apostrofo, omettendo la relativa elisione, quando è necessario invece far riferimento alle basilari regole di sillabazione, che ci permettono di dividere espressioni come “quell'acquisto” in “quel/l'acquisto”, seguendo la norma della separazione di consonanti doppie, o in “quell'ac/quisto” dove, similmente all'esempio precedente, dividiamo un gruppo di consonanti ma subito dopo l'apostrofo.
Questo, che prima dell'avvento della videoscrittura era considerato un problema nonché un dubbio persistente, oggi non lo è più dal momento che un qualsiasi programma di scrittura consta di diverse possibilità di giustificazione dei testi e connesse soluzioni di sillabazione automatica, mentre, per quanto riguarda la scrittura manuale, abbiamo ampio margine di scelta.
Pertanto, in presenza di una parola apostrofata in fin di riga, non è concesso scrivere le parole in forma estesa, dando luogo ad espressioni fastidiose come “quello insieme”, “quello altrimenti”, ecc.
Saluti,
Roberta.
Uso di sino e fino
Gentile servizio grammatica italiana, volevo chiedere se esiste qualche regola nell'uso di queste due parole, "fino" e "sino", grazie.
di alessandro172
14/01/2010
Gentile Alessandro,
le preposizioni “fino” e “sino”, usate anche nelle proprie accezioni avverbiali, possono essere indifferentemente usate, sebbene il termine “sino” e derivati “sinora”, “sino a che”, ecc. costituiscano espressioni meno usate.
Saluti,
Roberta.
Apostrofo in caso di plurale femminile
In caso di plurale femminile es. EDICOLE va usata la L'edicole o LE edicole?
di Federica
13/01/2011
Gentile Federica,
il plurale femminile le non si elide se non in presenza, talora, di parole inizianti per e, tranne che in occasione di termini aventi medesimo significato al singolare e al plurale, ad esempio, l'espressione “le eredità” si scrive per esteso poiché, se elisa, potrebbe confondersi con il singolare “l'eredità”.
Pertanto “le edicole” è corretto quanto “l'edicole”.
Saluti,
Roberta.
Da/dalla
Vorrei sapere se la differenza dell'articolo da/dalla nella frase seguente è solo data dall'articolo indeterminativo o determinativo. Si dice:
"colpito dalla malattia
o
colpito da malattia?"
Personalmente credo tutti e due solo che la prima è una malattia di cui sappiamo qualcosa, la seconda è una malattia di cui non sappiamo nulla. E' esatto?
di Lorenzo
10/01/2011
Gentile Lorenzo,
mi permetta anzitutto una precisazione: “da” e “dalla” non sono rispettivamente articolo determinativo e indeterminativo, ma una preposizione semplice, la prima (da) e una parola articolata nata dalla fusione della preposizione propria “da” con l'articolo determinativo “la”, la seconda (dalla).
Detto ciò, rispondo alla sua domanda: le espressioni da lei citate sono entrambe sintatticamente corrette; a far differenza sarà invece il contesto in cui verranno usate: qualora nella stessa proposizione o intero periodo recante quella determinata espressione si faccia riferimento al tipo di malattia, è possibile sottintenderla successivamente utilizzando la preposizione articolata, in questo caso “dalla”.
Qualora invece si voglia dare un'informazione generica, senza caratterizzare ciò di cui si sta parlando, useremo la formula semplice, quella che nel caso in questione è rappresentata dall'espressione “colpito da malattia”.
Saluti,
Roberta.
Punteggiatura interna ai dialoghi
Si scrive così ?
E lui gli disse:" Va bene ".
oppure
E lui gli disse:" Va bene."
di Enzo Fuso
06/01/2011
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Gentile Enzo,
non vi sono norme ortografiche precise e universalmente accettate che definiscano il corretto uso della punteggiatura nell'ambito dei dialoghi.
Sappiamo per certo che questa va inserita, che sia all'interno o all'esterno delle virgolette è una scelta stilistica personale, ciò che importa è che sia presente, in un modo, o nell'altro.
Se il testo in questione ambisce a una pubblicazione, sarà l'editore stesso ad occuparsi dell'editing, scegliendo la formattazione del testo opportuna e consona alla linea editoriale adottata.
Saluti,
Roberta.
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Puntini di sospensione
La domanda è: nella descrizione della punteggiatura, in relazione ai punti di sospensione scrivete: 'un arresto morbido del discorso, per lasciarlo in sospeso e riprenderlo subito dopo' a me capita sovente di chiudere un'intera frase o periodo con i puntini di sospensione, indicando che vi è una sorta di seguito sottinteso, che deve svolgersi nella mente del lettore. Uso erroneamente i puntini di sospensione?...
di Angelo Di Salvo
08/01/2011
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Gentile Angelo,
i puntini sospensivi possono essere usati, se non a scopo puramente interruttivo, per permettere al lettore di trarre le proprie conclusioni su una considerazione prontamente interrotta, pertanto, la pratica da lei adottata è corretta.
In ogni caso, è sempre buona norma non eccedere con espedienti simili: l'uso di questi, e con questa accezione, all'interno di articoli a sfondo giornalistico o di considerazioni narrative, piuttosto che nei soli in dialoghi diretti di un testo letterario, può essere considerato melenso e di dubbio gusto.
A breve la rubrica sulla punteggiatura verrà voce per voce integrata, pertanto potrà approfondire, se vorrà, l'argomento.
Saluti,
Roberta.
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Loredana88
Salve, volevo sapere: via, va scritta con l'iniziale maiuscolo o minucola, perchè la trovo scritto in due modi diversi, grazie
Gentile Loredana,
"Via" va scritta con l'iniziale minuscola, quindi "via Roma", non "Via Roma". Siamo abituati a vederla scritta con l'iniziale maiuscola poiché, ovviamente, sui cartelli stradali la parola "via" è a inizio frase, altrimenti va sempre minuscolo. Idem per piazza. Rimandiamo inoltre alla sezione "maiuscole" del nostro sito.
Saluti,
Roberta.